martedì 30 settembre 2008

Fantasia (1940)

“Potrete vedere la musica e ascoltare le immagini” Walt Disney.

Già in passato alcuni artisti avevano realizzato film sulla base di temi musicali importanti visualizzandoli attraverso immagini astratte, è il caso di Oskar Fischinger, un’artista tedesco che Disney decise di assumere per la direzione artistica del primo brano musicale di Fantasia: Toccata e fuga di Johann Sebastian Bach.
In seguito Oskar Fischinger per divergenze con Disney abbandonò il progetto e l’artista non venne accreditato nei titoli di testa, ma il suo contributo artistico restò fondamentale per lo sviluppo visivo del brano musicale.

Anche se non riusciremo a intravedere un riferimento preciso con un’opera d’arte particolare, Fantasia resta comunque il primo film di animazione a sperimentare il rapporto cinema e pittura, partendo da un modello di riferimento che è l’astrattismo con cenni evidenti alla pittura di Kandisky, e al surrealismo di Mirò.

La sequenza si apre con gli orchestranti ai loro posti e il direttore d’orchestra che dirige la sinfonia, lentamente le inquadrature scivolano verso immagini astratte, un fiorire di luci e colori delicati, intervallati da strani e piacevoli effetti visivi irrompono sullo schermo, brevi apparizioni di archetti, corde di violoncello danzano al ritmo della musica. Linee e curve si intersecano le une con le altre e macchie colorate si animano sotto le note di Bach.

Fantasia



Joan Mirò



Fantasia

Oskar Fischinger, Visualizzazioni per Toccata e fuga.



Oskar Fischinger, Visualizzazioni per Toccata e fuga.



Fantasia


Vassily Kandinsky



Fantasia


Questa sequenza, ricca di pathos, richiama tutta l’opera di Kandisky, in particolare un suo saggio Punto, linea e superfice.
Vassily Kandinsky, Punto, linea e superficie (1926)
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Fantasia



Vassily Kandinsky, Several Circles (1926)



Fantasia


Così commentava un grande ammiratore di Walt Disney: “…Disney (e non è un caso che i suoi film siano cartoni animati) rappresenta l’approdo a un mondo in cui vige una completa libertà (…) Quanta divina onnipotenza (di immaginazione) vi è in tutto ciò! Quanta magia nel ricostruire il mondo secondo la nostra fantasia e la volontà. Un mondo immaginario. Un mondo di linee e di colori che si assoggetta e si muta al nostro comando (…) Disney è una meravigliosa ninna nanna per i sofferenti e gli sfortunati e gli oppressi. Per coloro che sono incatenati da tante ore di lavoro e momenti regolati di riposo, da una precisione matematica del tempo, le cui esigenze sono segnate dal centesimo di dollaro…” Sergej M. Eisentein.

mercoledì 10 settembre 2008

Sentieri selvaggi (The Searcher - 1956)

Giudicato come il capolavoro assoluto del cinema western è probabilmente l’opera più complessa e discussa della filmografia di John Ford. Amato e criticato da molti, oggetto di numerosi studi e saggi, resta anche un punto fondamentale per l’analisi che intercorre fra il cinema e la pittura.

Soffermandoci su alcune inquadrature, composizione e tonalità sono le stesse di numerosi dipinti di Frederic Remington. Questo artista americano, considerato più un’ illustratore che un pittore, è stato uno dei pochi ad aver raccontato attraverso l’uso della pittura e della scultura l’epopea del west, il mito della frontiera e degli indiani. Le sue immagini di grande effetto visivo sono servite come fonte di ispirazione per quasi tutta la produzione di film western.

Sentieri selvaggi


Frederic Remington, A reconnaissance (1902)



Frederic Remington, The Scout: Friends or Foes (1902–05)



Sentieri selvaggi


Frederic Remington, Mauve rider in the snow

"Ho cercato di copiare lo stile di Remington, il suo colore e il suo movimento, credo di esserci parzialmente riuscito", John Ford.

Sentieri selvaggi



Frederic Remington, The capture of Finnigan (1888)


Quando Ethan e Martin sopraggiungono sul campo indiano disseminato di cadaveri John Ford ricalca le "battaglie" dei dipinti di Remington.

Sentieri selvaggi

Frederic Remington, The battle of war Bonet Creek

L’attacco degli indiani. Per Ford non è solo una semplice messa in scena, superspettacolo fine a se stesso ma simbolo di lotta tra il bene e il male, scontro di culture opposte e differenti interpretate attraverso la scuola di Remington. Stesso taglio dell'inquadratura e stessa visione prospettica.
Sentieri selvaggi

Frederic Remington, A dash for the tiber


Frederic Remington, Buffalo runners - Big Horn basin (1909)

Frederic Remington, The Fourth Trooper moving the led horses (1890)


La mdp ritrae lo spazio scenico impostato secondo l’uso di una cornice. John Ford fonde la visione cinematografica con quella pittorica, portando lo spettatore all’interno di un quadro.

Sentieri selvaggi

“Se terrai la linea d’orizzonte in alto o in basso, mai al centro dell’inquadratura, vorrà dire che sei un buon regista” John Ford
Questa affermazione trova riscontro in molti paesaggisti dove la distribuzione dello spazio è alla base di una corretta composizione.

Sentieri selvaggi


giovedì 4 settembre 2008

Zabrinskie Point (1970)

Michelangelo Antonioni ritrae l’America degli anni ’70 servendosi dell’immaginario visivo creato dagli artisti della Pop art.

Mark il giovane studente contestatore del film, si aggira nel labirinto urbano circondato da enormi cartelloni pubblicitari, da un susseguirsi caotico e confuso di immagini, vetrine che espongono i più svariati cibi in scatola.

Zabrinskie Point


Le immagini si susseguono attraverso l’uso di un montaggio serrato e frenetico. Esse ci rimandano ai quadri di James Rosenquist, pittore pop, che cominciò la sua carriera realizzando grandi cartelloni pubblicitari per conto di un’agenzia.

Partendo da immagini fotografiche, quasi sempre pubblicitarie, Rosenquist ingigantisce i particolari combinandoli tra loro, creando così un forte senso di confusioni nello spettatore.

Zabrinskie Point



James Rosenquist, Withe bread (1964)



James Rosenquist, Taxy (1964)


James Rosenquist, Lana (1964)


James Rosenquist, F-111 - detail (1964-65)



Zabrinskie Point



James Rosenquist, World's Fair Mural (1964)



Questa immagine ricorda molto da vicino i quadri di Richard Estes, capostipite del movimento Iperrealista americano. I suoi quadri rappresentano quasi esclusivamente negozi. Impossibile per chi guarda riuscire a scorgevi dentro qualcosa o qualcuno, le vetrine riflettono in un disordinato gioco di luci e ombre, l’ambiente circostante.

Zabrinskie Point

Richard Estes, Nedick's (1970)


Zabrinskie Point


Claes Oldemburg, Giant Hamburger (1962)



Claes Oldemburg, Two cheeseburgers, with everything (1962)


Claes Oldemburg, Floor Cake (1962)